Il termine giapponese dojo – etimologicamente luogo (jo) in cui si segue la via (do) – indicava i piccoli locali situati nelle vicinanze di un tempio o di un castello, ai margini delle foreste, in cui i segreti delle arti marziali venivano preservati.
In Occidente il nome dojo viene impropriamente tradotto in palestra, termine inteso unicamente come spazio per l’allenamento; nella cultura orientale, invece, indica il luogo in cui attraverso la “Via” si ricerca e si può raggiungere, la perfetta unità tra zen (mente) e ken (corpo) e quindi il perfetto equilibrio psicofisico. Il dojo si differenzia dai normali spazi sportivi poiché non è semplicemente il luogo in cui si pratica un’attività atletica: l’esercizio fisico può anche essere simile, ma è la ricerca del giusto atteggiamento in riferimento ai principi delle arti marziali che consente di progredire per conoscere le reali finalità del Budo.
Quando gli allievi indossano il keikogi – il kimono bianco utilizzato per la pratica – ed entrano nel dojo, dinnanzi al maestro diventano tutti uguali: non esistono differenze per condizione sociale, professionale o altro e tutti i problemi della quotidianità vengono lasciati negli spogliatoi in modo tale da poter liberare la mente e concentrarsi sull’allenamento per superare i propri limiti e le insicurezze, in un costante confronto con se stessi.
ll dojo è una piccola società, con regole ben precise che devono essere rispettate e che fanno parte del Reishiki – dall’ideogramma Rei (saluto) e Shiki (cerimonia). Reishiki potrebbe essere tradotto dunque in “Cerimoniale”. Questo codice comportamentale comprende la cura della persona e della divisa, il rispetto degli altri e dell’ambiente di pratica, il comportamento corretto ed educato e altri valori insiti nell’etica dell’arte marziale che discende da quella arcaico-feudale dei samurai: il Bushido, la Via del guerriero.
Il coraggio, la gentilezza, il reciproco aiuto, il rispetto per stessi e degli altri sono concetti che entrano gradualmente a far parte del bagaglio culturale dell’allievo.
Infine secondo i principi del Budo nel dojo non si impiega la violenza: le arti marziali enfatizzano la forza mentale e non quella fisica, condannata prima o poi ad affievolirsi.
Il Dojo Itto Isshin
L’Aikido Vicenza ha adottato un nome e un logo che identificano un percorso tecnico ed etico riconducibile alla tradizione giapponese. La forma del cerchio rappresenta l’essenza del vuoto, l’energia fondamentale che collega il tutto, il Ki universale. I colori bianco e nero richiamano lo Yin e lo Yang e sono utilizzati nella divisa dell’Aikido. Il rosso è il simbolo del Giappone.
La scritta rossa compone il kanji Itto Isshin, la cui traduzione letterale è “Spada-Spirito” e più propriamente “un uomo – un cuore – una spada”, come sopra descritto.
L’inserimento del ventaglio ricorda l’oggetto onnipresente nella vita quotidiana giapponese in tutte le classi sociali. Accessorio indispensabile negli spettacoli teatrali, il ventaglio pieghevole riassume in sé le qualità di funzionalità, raffinatezza ed eleganza, che caratterizzano la sensibilità estetica giapponese.
In Giappone la forma del ventaglio è considerata di buon augurio. Quando viene aperto, infatti, esso si allarga nella parte superiore, a simboleggiare l’ampio orizzonte e la fortuna che ci aspetta.
Che la felicità e avvenimenti colmi di profonda gioia possano allargarsi fino a diventare sempre più grandi… proprio come l’estesa apertura di un ventaglio.